Ugo Mattei e la gestione dei beni comuni

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Abbiamo già incontrato Ugo Mattei per una vicenda che riguardava i nidi a Torino. In questa intervista ci racconta un'esperienza che sta vivendo a Napoli. Può apparire un'esperienza lontana dai nostri soliti temi, ma man mano che il racconto procede, si capisce come anche i servizi all'infanzia possano essere interessati dal lavoro che sta portando avanti.


L'ABC a Napoli è l'azienda che gestisce l'acquedotto in modo partecipato. Ci racconta questa esperienza?
L'ABC è un'azienda speciale pubblica che gestisce l'acqua secondo di principi dei beni comuni. Il progetto ha raggiunto dei risultati importanti sul piano giuridico. Ci siamo radicati nel diritto pubblico e abbiamo realizzato un'azienda che al suo interno ha un sistema partecipato e inclusivo. Con questo risultato abbiamo superando una visione della gestione pubblica di tipo burocratico e piramidale.
La gestione pubblica è inadeguata?
Diciamo che abbiamo un modello normativo adatto ad esigenze di un mondo che oggi non esiste più. All'inizio della modernità l'esigenza era trasformare i beni comuni, che erano abbondanti, in capitali che invece era scarsi. L'esigenza nasceva dalla necessità di concentrare capitali per far sorgere e costruire la manifattura e il capitalismo. Questo modello ha avuto un successo enorme. Oggi però le condizioni sono opposte: non abbiamo più beni comuni e abbiamo invece un enorme quantità di capitale.
E quindi?
E quindi i Beni Comuni diventano un modo per smascherare la falsa coscienza della contrapposizione tra privato e pubblico. Spesso si ragiona come se il privato e il pubblico fossero due mondi distinti governati da logiche diverse. Pensiamo che il privato possa fare quello che vuole con le cose che amministra, mentre il pubblico non abbia la libertà di gestione delle cose che controlla.
E  invece?
Invece questa è ideologia. In realtà privato-pubblico sono strutturalmente fondate sulla medesima logica che è la logica dell'esclusione e della concentrazione del potere. persegue una logica di tipo estrattiva. La privatizzazione dei beni pubblici ad opera della politica oggi è semplicemente una scelta discrezionale. Siamo di fronte ad un diritto costituzionale monco che non tutela i diritti dei cittadini che sono i reali proprietari dei beni pubblici. 
Come avete proceduto per la realizzazione di ABC a Napoli
Il primo passo è stato percorrere la via a ritroso, da un'istituzione privata abbiamo costituito un'azienda speciale di diritto pubblico. Ci abbiamo messo circa un anno e mezzo. Sembrava impossibile. Invece il risultato c'è stato. La Corte dei Conti ha affermato, in una recente sentenza, che l'ABC è un modello che può essere espanso anche in forme consortili differenti.
Com'è organizzata la partecipazione?
Con un comitato di sorveglianza, una specie di parlamentino, composto da: 5 lavoratori, 5 utenti sorteggiati, 5 consiglieri comunali e 5 del componenti del mondo ecologico e ambientalistico.
Funziona?
Si e controlla e processi di efficienza e trasparenza. Ora stiamo lavorando per la costituzione di un governo interno all'azienda che non sia di tipo verticale, ma condiviso. Sono processi lunghi che devono essere introdotti poco alla volta.
E' un modello esportabile rispetto ad altri servizi?
Certo. Il 4 di febbraio scorso abbiamo dato vita ad un'associazione di categoria federcommons che dovrebbe raccogliere tutti i servizi pubblici esistenti che gestiscono i servizi tra farmacie, asili, aziende dell'acqua, aziende dei trasporti...
Facciamo un esempio sui nidi. Oggi c'è una forte compenetrazione di servizi gestiti in modo indiretto. Quindi è il privato a gestire il servizio che è governato dal pubblico. Questi nidi dove si collocano?
Fuori da federecommons. Noi vogliamo tutelare i servizi che gestiti direttamente dal pubblico al 100%. L'esternalizzazione è una forma di privatizzazione. Oggi il pubblico che rimane è facile preda di chi le vuole privatizzare, stiamo parlando di grandi interessi, molti miliardi, si stimano capitali tra i 400 e i 700 miliardi di euro.
Le aziende pubbliche spesso non funzionano bene, è da questo principio che si è iniziata la privatizzazione dei beni pubblici. Come pensate di tenerle pubbliche e farle lavorare in modo efficiente coerentemente con i beni comuni?
Intanto dobbiamo legarle tutte insieme per poterle confrontare, capirne i problemi e tentare di elaborare delle soluzioni. Nessuno vuole un pubblico che assomigli ad un baraccone, l'idea è restituire un bene comune. Attenzione però non vorrei però si creasse l'equivoco che i beni comuni, abbiano un rapporto privilegiato con il pubblico rispetto al privato. Non è così. I beni comuni sono polemici con entrambe le forme.
Se la difesa non è per il pubblico e se il sistema integrato che si è sviluppato, funzionare a volte anche bene, perché non pensare ad una tutela dei servizi pubblici e privati, fissando ad esempio, le percentuali di gestione diretta?
Perché il problema non è questo. Che ci siano dei privati che funzionano bene nessuno lo mette in discussione. Il vero problema è che ci sono un sacco di pubblici che non funzionano. E' lì il nostro capitale comune ed lì che dobbiamo andare ad incidere. Poi lo faremo arrivare anche al privato.
A Napoli l'abbiamo creato un'azienda di diritto pubblico, a Roma a teatro valle, abbiamo creato una fondazione che è di matrice privatistica ma che nella sostanza è una fondazione per il bene comune.
Cos'è determinante allora per dare garanzie ad un sistema dei beni comuni?
Inizialmente pensavo che la garanzia del pubblico fosse determinante, oggi penso invece che sia estremamente importante l'indipendenza del soggetto che gestisce rispetto alla politica.
Il prossimo progetto?
Penso che ora la partita si sposti a Messina dove c'è un sindaco e una nuova amministrazione che hanno un certo entusiasmo. Stiamo cercando di fare una multiutility che contenga tutti i servizi pubblici. Si tratta di capire dove c'è un po' di spazio che ti consenta di entrare nel sistema per cementare delle conquiste di tipo giuridico. A Napoli abbiamo raggiunto importanti risultati, si tratta ora di farli crescere ma non può essere la politica a sviluppare questa idea, che deve crescere dal basso.