L'infanzia di Flavia Franzoni

Flavia Franzoni














Quando arrivo in casa Prodi-Franzoni ci sono persone che lavorano. La casa è inondata di luce a quest'ora del mattino, la cultura fa da padrona, con tanti libri in ogni dove e l'eleganza regna sovrana. E' tutto molto "quotidiano" senza troppe formalità. Molti oggetti raccontano paesi lontani, quadri, foto, tappeti e soprammobili. Ora la professoressa Franzoni mi fa strada per poche scale e andiamo negli studi situati nel sottotetto.

Sono qui con la "ex-first lady" per un'intervista speciale: parleremo d'infanzia, della sua infanzia e quella dei suoi figli. Come ho già fatto in un'intervista precedente, e come farò in seguito. La volontà è ricostruire un quadro complessivo delle infanzie di ieri e di oggi da nord a sud Italia.

La mia interlocutrice mi richiama al presente. Ha uno sguardo indagatore, ma non freddo, mi studia un po', senza nascondersi, poi ripesca il filo dei ricordi e senza mai scivolare in sentimentalismi, comincia a raccontare prima ancora che sia io a rivolgerle le domande. Mi fa piacere, penso sia un segno di fiducia.




Sua madre lavorava?

No. I miei genitori avevano fatto la scelta, come era frequente, di mandarmi all'asilo, per farmi fare "un'esperienza scolastica" prima di mandarmi alle elementari.

Private?

No, pubbliche, le scuole materne a quei tempi erano quasi solo private, almeno a Reggio. Ma dalle elementari e per tutto il ciclo scolastico successivo ho frequentato scuole pubbliche.

Cosa faceva a casa tutto il giorno da sola?

Non ero sola. La mia era una casa abbastanza allegra, piena di gente che andava e veniva, anche perché abitavamo insieme ai nonni. Io ci stavo bene. L'anno dopo cominciai la scuola che fino alla terza elementare frequentai con i doppi turni (una settimana al mattino e una settimana al pomeriggio). Il numero dei bambini era in continuo aumento (a cominciare da quelli nati appena finita la guerra) e le scuole erano spesso da rimodernare. Ho cambiato due scuole e ben otto maestre, pensi un po'...

Cosa ricorda di quel tempo oltre la scuola?

A dire il vero non tantissimo… Ricordo gli scherzi che mi facevano gli zii quando mi prendevano in giro recitando la filastrocca di Pierino Porcospino.

Pierino chi?

Non la conosce? Ma è una storia buffissima e terribile. Pierino è un bambino disobbediente e sporco, non si vuol lavare, non si taglia le unghie, non si cura, tant'è che ha lunghissimi artigli al posto delle unghie e ha capelli scompigliati che “hanno formato una foresta” -mi indica con un gesto ampio delle mani. La filastrocca terminava in modo terribile: “A che schifo quel bambino, è Pierino porcospino”

I mie zii giovani mi prendevano in giro così quando facevo i capricci.

Per cosa faceva i capricci?

Ah, prevalentemente perché volevo le figurine! Collezionavo figurine Disney e dei calciatori. Mi piacevano tantissimo. Mi piaceva scambiarle con le compagne di scuola, era divertente.

Altri giochi?

Direi da cortile… Andavo in bicicletta... In generale non ero una patita delle bambole, ma ricordo che una volta ne vinsi una, ad una lotteria, sa di quelle porta a porta.

Una lotteria ambulante?

Si, erano abbastanza comuni. Bussavano di casa in casa, e vendevano biglietti della lotteria o numeri da estrazione … Beh, ci fu una volta che vinsi una bambola.

E i giochi in cortile?

Quando penso al cortile ricordo quello della parrocchia e suoi sotterranei, che costituivano una sorta di cortile per l’inverno. Era un luogo unificante (anche se ancora maschi e femmine giocavano separati!) e di convivialità… Ricordo il catechismo e tanti giochi. Disegnavamo con i gessetti la "settimana" una sorta di percorso da fare a salti...

Ha esperienze di quel tempo che l’hanno segnata?

Si, una cosa mi ha lasciato un segno. Vicino a casa c'era un quartiere estremamente povero: deve tener conto che la guerra era finita da poco e c'era una povertà incredibile dappertutto. In quel quartiere vi erano anche tante ex “case-chiuse”… I bambini erano davvero poveri, poveri a livelli che oggi facciamo fatica ad immaginare. Nella mia classe c’erano molti di questi bambini. Nell’intervallo l’Assistenza comunale portava loro delle bottigliette di latte, per supplire alle loro carenze anche alimentari.

Star vicino a questi bambini mi ha insegnato che c’erano bambini che vivevano una vita molto diversa e ben più difficile della mia. E' forse per questo motivo che ho sempre creduto e fatto frequentare ai miei figli la scuola pubblica, pubblica e legata al territorio dove si risiede. Mi piace la scuola vicina a casa, specchio di quello che c'è intorno.

Mi spiega meglio?

Credo che la scuola pubblica sia stata e possa essere ancora  uno straordinario luogo d'integrazione sociale. E’ per questo motivo che ne sono una vera paladina! Con ciò non voglio negare la validità di altre forme gestionali e non voglio entrare nel merito dei finanziamenti a scuole paritarie private, che ci possono stare, ma la scuola pubblica deve essere il centro dell'offerta. E' l'unica in grado di aggregare davvero le persone e le diverse classi e appartenenze sociali (oggi anche i diversi gruppi etnici). Credendo in questo ho sempre mandato i miei figli a scuole pubbliche e di stradario. Credo che questo modello di scuola finalizzata anche all’integrazione sia utile per tutti, anche per l’educazione dei ragazzini un po’ privilegiati.

Comunque nella mia vita quotidiana di allora e nella vita della mia famiglia la scuola era importantissima… Quando ci trovavamo a tavola la scuola era un argomento centrale.

Come si è trovata a frequentare le scuole pubbliche?

Bene. I miei figli anche, hanno frequentato le scuole d'infanzia al Baraccano e le elementari alle Zamboni. Essendo abbastanza vicina a casa, appena possibile, li ho lasciati andar soli. Oggi sarebbe impensabile. Della scuola materna del Baraccano ho un bellissimo ricordo, non soltanto perché  i bimbi ci stavano volentieri, ma perché mi ha aiutato ad inserirmi in città. Fino ad allora avevo poche amicizie a Bologna, tutte legate all'Università, dove però avevo conosciuto prevalentemente studenti che venivano “da fuori”.



Ho ancora oggi amicizie nate ai tempi del Baraccano. Poi in quel periodo siamo stati in tanti ad essere coinvolti negli incontri del febbraio pedagogico bolognese.

Ha un ricordo dei febbrai pedagogici?

Era un’iniziativa cittadina in cui si confrontavano le esperienze e i modelli pedagogici applicati nelle diverse sedi. Alle Carducci c’era il metodo Montessori, al Baraccano le linee guida di Ciari…

Agli incontri pubblici veniva dato voce alle maestre, ai genitori e alle “dade”, una figura tipica e molto importante delle scuole materne bolognesi. Ci sentivamo tutti al centro di un’avventura importante.

Con il “senno di poi” devo anche dire che al Baraccano c'era un ambiente particolarmente fertile intellettualmente. Tutti abitavamo in zona, c’erano alcuni genitori che insegnavano all'università sopratutto materie sociali.

Ma il bello era che durante gli incontri, si facevano soprattutto cose pratiche, manuali come aggiustare i materiali didattici, attrezzare il giardino, etc…

Perché era bello fare cose pratiche?

Perché se gli incontri fossero stati solo teorici, ci sarebbe stato presto un leader… invece così eravamo tutti attivi, ed era bello stare insieme, con persone molto diverse. Era bello anche conoscere qualche collega fuori dal mondo del lavoro, in un altro contesto.

Oggi che è nonna come vede i suoi nipoti?

Intanto diciamo che di nipoti ne ho 6 -mi dice con un sorriso- E diciamo anche, che non sono una "nonna a servizio permanente". Ci passo abbastanza tempo, ma non sono sempre disponibile. Mi chiede come li vedo? Non saprei... quello che è certo, è che tutto è molto più veloce, accelerato. Vedo i genitori di corsa. E devo dire che ci sono molti più "attacchi da parte del consumismo". Quando passo davanti alle edicole e ci sono tanti, tantissimi giochi, perennemente pubblicizzati alla televisione, di tutte le misure, per tutte le tasche, e tutti immancabilmente alla loro portata di sguardo… Beh, noi nonni facciamo fatica a resistere alle richieste dei nipotini!

Un'ultima domanda sul suo lavoro: è riuscita a conciliare lavoro e famiglia? Ha avuto particolari difficoltà?

Posso dire che mi sono adattata alla vita complicata di mio marito (Romano Prodi). L'ho seguito in molti periodi all’estero e ho svolto il mio lavoro quando ho potuto, con salti temporali anche molto lunghi. Ho “spezzato e ricomposto” il lavoro con contratti all'università e seguendo ricerche presso l'Iress. In qualche modo però posso dire di sentire di aver fatto anche una mia carriera (seppure non misurata in collocazioni lavorative apicali!) nel senso che ho realizzato quello che volevo e potevo. Una scelta molto personale. Questo non so davvero se oggi sarebbe possibile, ma soprattutto se sarebbe accettabile dalle nuove generazioni in termini di parità uomo-donna...


Laura Branca