Mani nella terra e bambini in scatola. Dialogo con Paola Tonelli




Parola a...

Mettere le mani nella terrà è già outdoor education”. Non ha dubbi Paola Tonelli: i bambini devono poter stare all’aperto anche se non dispongono di grandi spazi verdi; e gli adulti devono essere preparati per far vivere loro queste esperienze. 

Al nido, come alla scuola dell’infanzia ma anche alla scuola primaria “andare in giardino” non può essere solo improvvisazione. Per permettere ai bambini di oggi, costretti spesso a spostarsi da “una scatola all’altra”, di vivere e scoprire gli spazi aperti occorre un cambiamento culturale; una sorta di rovesciamento che porti gli adulti a considerare i rischi che si corrono a trascorrere tanto tempo all’interno delle aule e delle sezioni e non solo i potenziali pericoli dello stare in giardino o al parco. Riflessioni quelle di Paola Tonelli frutto di una lunga esperienza come formatrice in cui ha sempre dedicato grande attenzione a ciò che i bambini possono scoprire e realizzare quando hanno la possibilità di esplorare elementi della natura come sabbia e sassi. Esperienze -insiste - che possono e devono essere alla portata di tutti i bambini.


Stare all’aperto per i bambini è un’esperienza importante. Riconosciuta dalla pedagogia quanto dalla pediatria, questa affermazione sembra trovare molti ostacoli quando si tratta di metterla in pratica. Perché?


La formazione, la cultura scolastica hanno focalizzato troppo l’attenzione sullo sviluppo della testa dei bambini e molto meno sullo sviluppo del corpo. È cresciuta troppo la paura del movimento e delle attività “sporchevoli”: si vedono pericoli da tutte le parti. È diffusa, esagerata e ingiustificata la paura delle malattie, dei raffreddori, dei colpi di tosse, delle ginocchia sbucciate. Si tratta di un problema culturale: gli insegnanti e i genitori, devono essere aiutati a capire i pericoli cui si va incontro restando sempre chiusi dentro, devono essere aiutati in questo percorso. Per innovare è necessario farsi carico delle paure sbagliate ma reali e fortemente radicate. Oggi solo una minoranza sta riuscendo a cambiare concretamente il modo di fare scuola e di far crescere i bambini.


Alcuni esperti di pedagogia, parlando dei bambini di oggi, hanno usato espressioni forti come “bambini prigionieri” o “bambini agli arresti domiciliari e scolastici”. Condivide questa visione?

Da molti anni utilizzo, nei corsi di formazione, una metafora egualmente forte anche se con sfumature più morbide: parlo dei bambini in scatola. A casa e a scuola trascorrono troppo tempo seduti e al chiuso tra quattro mura. Chiusi in scatole sembrano perdere la capacità di respirare e il respiro è vita. Anche se la scatola è bella e infiocchettata non cambia molto. L’immagine della prigione è così tetra che forse impedisce a molti di riconoscersi. Ho scritto di un brutto gioco dell’oca che giornalmente attende molti di loro:

Escono al mattino dalla scatola casa, per entrare nella  scatola automobile, scendono e entrano subito nella scatola scuola, arrivano nella scatola sezione (più o meno accogliente), risalgono poi nella scatola automobile, che li riporta nella scatola casa dove li aspetta la scatola cameretta ed, infine, si immobilizzano davanti alla scatola televisione.”


In un suo recente intervento su Comune.info  lei ha parlato di insegnanti ingabbiati. Può spiegarci perché anche gli insegnanti pur conoscendo l’importanza di far vivere gli spazi aperti, possono sentirsi prigionieri?

Il cambiamento fa sempre paura e le organizzazioni resistono al cambiamento che evidentemente cerca di modificarle. Quando si vuole innovare è importantissimo sostenere gli insegnanti, ascoltare le loro incertezze, le loro difficoltà per portarli a scoprire che il nuovo è possibile e ricco di sorprese. La formazione ha una grande responsabilità: deve far parlare le persone, farle discutere per far emergere cosa le blocca e cosa impedisce di modificare il loro modo di lavorare. Ogni realtà ha i suoi nodi da sciogliere e quando questi non vengono esplicitati, quando non si parte da questi … le parole, i discorsi, le teorie, servono a poco!

Si sente sempre più spesso parlare di outdoor education. Cosa ne pensa?

Per quanto ho detto fin qui mi sembra evidente che per me l’educazione all’aperto è e deve essere la benvenuta. Avverto tuttavia la forte necessità di una formazione che aiuti a fare i primi passi. Il formatore deve aiutare il personale delle scuole e dei nidi a comprendere che è già outdoor education  lasciar mettere le mani a terra e far toccare i sassi. Ribadisco il mio invito: partiamo dal semplice perché le proposte troppo articolate rischiano di franare davanti all’impreparazione degli adulti meno esperti con il triste risultato di riportarli al chiuso della sezione dove si sentono più preparati e adeguati.


Recentemente è nata la rete delle scuole all’aperto. Quali sono secondo lei i vantaggi e i rischi di iniziative di questo tipo?

Sono cresciuta professionalmente nel Movimento di Cooperazione Educativa quindi credo moltissimo nello scambio di esperienze. Per il Comune di Roma ho organizzato il Centro di Documentazione e ho progettato, per alcuni anni, una formazione basata sulla circolazione delle esperienze più interessanti e ben documentate. Ascoltare il lavoro di un collega è prezioso ma non è semplice presentarlo. Qui vedo un rischio. Chi presenta il proprio lavoro deve essere aiutato: non ci si può improvvisare. Rispetto alla rete delle scuole all’aperto non ho avuto modo di partecipare quindi non posso esprimermi. L’idea in se, per quanto ho detto prima, mi sembra certamente interessante.

Non tutte le scuole dispongono di grandi spazi verdi, alcune hanno a disposizione solo dei cortili sterrati. Possono essere luoghi in cui fare “educazione all’aperto”?

Ogni spazio aperto offre l’occasione di fare “educazione all’aperto”. Chi dispone di un cortile sterrato è già tra i fortunati! Poter offrire ai nativi digitali l’incontro con la terra non è cosa da poco. Con la semplice terra, se viene loro permesso di toccarla, i bambini possono fare infinite ed interessanti esperienze. Molti   insegnanti  davanti a questa affermazione restano stupiti e dubbiosi, allora consiglio di regalarsi un tempo quotidiano per osservarli silenziosamente ma con curiosità. Dimenticando la fretta ci si accorge, con il trascorrere dei giorni, che le loro azioni sono diverse, numerose e in evoluzione. Sono loro che ci indicheranno la strada: un ottimo tempo di autoformazione. Su quanto si può fare in un cortile sterrato ho scritto un intero libro. Immaginate quanto mi hanno insegnato i bambini e quanto ho potuto raccogliere!

Parchi e cortili sono sempre stati teatro di gioco spontaneo. E’ ancora così? Gli adulti sono ancora in grado di apprezzare questa forma di stare insieme dei più piccoli?

A volte parchi e cortili non sono più teatro di gioco spontaneo perché i bambini, troppo a lungo incollati alle sedie o tenuti in spazi chiusi, escono come molle correndo all’impazzata. Se poi la scuola è grande e lo spazio aperto è affollato il gioco spontaneo ha difficoltà ad affermarsi tra le corse e il nervosismo. Il cortile-giardino corre il rischio di trasformarsi più in uno sfogatoio che in uno spazio gioco. Per far si che ritorni a vivere il gioco che chiamo di “qualità” serve lavorare per modificare i tempi e gli stili di vita all’interno e all’esterno.

Esperti ed educatori guardano con grande interesse al modello finlandese. Perché? E’ un modello applicabile anche da noi?

Quando si ascoltano, si leggono esperienze delle scuole Finlandesi affiorano alcune parole interessanti come: attenzione al riposo, al tempo, all’ascolto, alla felicità, al contatto con la natura, alla cura del proprio ambiente, … nella fascia 0/6 la cura di questi aspetti dovrebbe essere già naturale e ricercata anche da noi. Abbiamo però un problema che ci rende tutto più difficile: il numero dei bambini. Troppi bambini nelle sezioni. Le scuole finlandesi hanno numeri molto più bassi: questo fattore collegato a quello culturale sicuramente le favorisce. Dimenticarcene è un rischio. Rinunciare è un peccato. Serve trovare strade adatte alla nostra realtà guardando con interesse e imparando da chi ci sta già provando.

E’ opinione diffusa che i luoghi aperti siano più pericolosi di quelli al chiuso. E’ davvero così?

Assolutamente no! Tuttavia i bambini cittadini, quelli che escono poco per intenderci, hanno bisogno di tempi tranquilli per imparare a muoversi in uno spazio poco esperito. Ricordo, ad esempio, una scuola in cui i bambini non potevano scavare buche  perché, secondo alcuni insegnanti, avrebbero reso pericoloso il terreno e qualcuno sarebbe potuto cadere. Tragico segnale: sappiamo camminare solo sull’asfalto e i marciapiedi. Ma non è così perché  i bambini che frequentano gli asili nel bosco si arrampicano, saltano e non cadono nelle buche di cui il campo, il prato sono certamente pieni. Tutto questo si può imparare benissimo anche in giardino se c’è graduale ma quotidiana frequentazione.

Lei nel suo lavoro utilizza le interviste ai bambini. Se chiedessimo ad un bambino della scuola dell’infanzia  o delle elementari cosa pensa della possibilità di giocare all’aperto cosa ci risponderebbe?

Due parole sull’uso delle interviste ai bambini: sono molto semplici, non richiedono un’organizzazione complessa, si fanno a piccolissimi gruppi (o a singoli o coppie), sono benefiche perché permettono di pensare, aprirsi, esprimersi, si possono realizzare subito e in ogni realtà, possono dare ottimi frutti, sono benefiche anche per gli adulti che imparano a conoscere i pensieri più silenziosi dei loro alunni. Naturalmente sono più adatte ai bambini  con un numero maggiore di anni ma anche i piccoli possono regalare sorprese. Comunque non c’è bambino che non si mostri felice e desideroso di  uscire all’aperto.


Torniamo alla sua riflessione su Comune.Info in cui lei invita ad uscire con o subito dopo la pioggia fin dal nido. Solo una provocazione?

A volte la propongo come provocazione per dimostrare come l’impossibile possa diventare possibile. Ma le mie non restano solo parole perché, successivamente, presento la documentazione di diverse esperienze realizzate nei nidi. Non si tratta quindi di una provocazione ma di un autentico invito, un invito che naturalmente richiede un’accurata organizzazione. Sono solita ricordare che è necessario valutare attentamente la propria situazione considerando le proprie paure, il tipo di gruppo dei bambini, la loro età, le esperienze già fatte, la condivisione del progetto con le colleghe.  Propongo sempre di partire con le esperienze più semplici come ad esempio può essere il gioco con la terra. L’uscita con la pioggia, durante o dopo quando ci sono le pozzanghere, è bellissima ma anche più complessa e necessita di maggiore esperienza dei grandi e dei piccini.  Come dicevo prima ho raccolto un serie di percorsi molto interessanti dove l’abbigliamento adatto svolge un ruolo importante: uscite con caloche, con impermeabili, con pantaloni impermeabili, con ombrellini e anche … con le cuffie da doccia in testa per avere le mani libere. Se escono i bambini del nido perché per quelli della scuola è impensabile? Uscire 10 minuti con gli ombrelli, tutti insieme sotto gocce leggere regala attimi di felicità. Una “ricreazione” da preparare, che non si può improvvisare ma bellissima! Provare per credere!


Lei ha citato “ la pedagogia dei Parchi Robinson” sperimentata negli anni’70 nei campi estivi Olivetti. Cosa è rimasto di quell’esperienza e cosa può ancora insegnare?

Rimasi molto colpita in quegli anni dallo stile, dall’approccio. I ragazzi trovavano il campo ricco di materiali come legni, corde, teli vecchi, gomme d’auto:  mucchi di oggetti e non strutture già progettate. Potevano anche disporre di attrezzi per segare, legare, inchiodare con lo scopo di preparare le strutture del parco. Naturalmente era prevista la presenza di un adulto che li aiutasse con le sue competenze tecniche. Questo stile l’ho poi proposto, trasformandolo e adeguandolo alla diversa età,  nelle scuole dell’infanzia e nei nidi. Ho fatto in modo che i bambini avessero a disposizione, all’aperto o al chiuso, una buona quantità di materiali più leggeri, più adatti alle loro forze e più facili da assemblare. Ricordo solo un esempio: facendo trovare loro alcuni piani di un vecchio armadio di legno ho raccolto e documentato, in un anno, oltre un centinaio di giochi e costruzioni tutte inventate dai bambini di 3-6 anni. Ne ho parlato nel libro” Anche i bambini si stancano” cui ho accennato prima. Si tratta quindi di un’esperienza che può interessare ancora oggi e che ci suggerisce di restituire ai bambini e ai ragazzi spazio, materiali, tempo, fiducia. C’è molto bisogno di questo.


Per concludere torniamo agli spazi inadeguati, piccoli o dominati dal cemento presenti in tante scuole. Lei suggerisce di ovviare a questo riscoprendo i parchi e i giardini pubblici. Perché?

A chi dispone di questo tipo di spazi propongo due strade: anche i terrazzi e i cortili asfaltati o cementificati possono essere trasformati in interessanti spazi aperti. Poiché sarebbe troppo lungo parlarne  lancio solo, questa si, una provocazione: nel 1300 sono riusciti a far crescere gli alberi sulla cima  della torre Guinigi a Lucca. Più recentemente il famoso architetto Hundertwasser ha portato i prati e gli alberi sui tetti: prima a Vienna poi in varie parti del mondo. Anche in un cortile asfaltato si può fare molto e a costi contenuti! È sempre il pensiero che deve abbondare.

Parallelamente, quando il cortile è di asfalto, ci sono le opportunità del territorio circostante, opportunità raggiungibili a piedi. Più volte ho suggerito di cercare ambienti gradevoli, naturali e vicini. Se si fa attenzione, se si butta il pensiero, se ne possono trovare anche nelle grandi città. Un esempio: alcune scuole del centro di Roma sono vicinissime a villa Ada che ha prati bellissimi e, in primavera, bianchi di margherite. Per chi dispone solo di un cortile l’uscita in un prato bianco di margherite si trasforma in un momento magico.Queste uscite presentano molti vantaggi: non costano, possono essere più numerose di quelle gite che con il bus portano i bambini alle fattorie didattiche una volta l’anno.


Laura Branca


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