Rette al nido? Si abbassano in alcune città ma rimangono troppo alte


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Cronaca bambina Le rette ai nidi iniziano a calare in modo diffuso in tante parti d’Italia, ma l’ultimo rapporto dell’associazione Cittadinanzattiva, sui costi dei servizi educativi e scolastici, ci racconta una realtà tutt’altra che positiva. Le rette ai nidi rimangono alte e l’accesso ai servizi è difficile. Vediamo insieme le ultime politiche attuate in alcuni comuni italiani, e i dati nazionali che si riferiscono all’anno 2016.

Nella città di La Spezia, guidata dal sindaco Pierluigi Peracchini, calano le rette dei nidi e delle mensa scolastica. Calano sopratutto per le famiglie in particolari difficoltà, per loro diventano gratuite, mentre per tutti le tariffe scendono del 18 per cento. Tagli alle tariffe per l’accesso dei nidi, delle scuole d’infanzia e delle sezioni primavera. L’amministrazione ha stimato minori introiti per 600mila euro, a fronte di una spesa di 2,6 milioni per i servizi educativi e di circa 1,2 milioni per la refezione.
Il sindaco Alberto Vaccari del comune di Casalgrande (provincia di Reggio Emilia) sceglie di abbassare due spese a carico dei cittadini: i servizi di trasporto pubblico, meno 10%, e i servizi educativi dedicati alla prima infanzia. Le rette dei nidi si abbassano di 20 Euro al mese per il tempo pieno e 15 per il tempo parziale e si riducono anche quelle del bus. Il sindaco dichiara: “Vogliamo ridurre l’inquinamento ottimizzando i trasporti e andare incontro alle famiglie ma anche ribadire che il nostro è un vero servizio educativo, che non si limita ad accogliere i bambini dei genitori impegnati al lavoro e che non hanno possibilità alternative. ”
A Bologna le modifiche tariffarie (leggi qui) riguardano sopratutto le famiglie con un redditto medio. Del resto il comune prevedeva già iscrizioni gratis per le famiglie più povere. A Cesena è la Giunta ha inserito nella propria proposta per il Bilancio 2018 di ridurre le rette dei nidi e scuole d’infanzia per le fasce ISEE più deboli.
La regione Lombardia, già da qualche anno, ha lanciato “Nidi gratisuna misura rivolta alle famiglie a rischio povertà. La misura azzera le rette del nido e micro-nido pubblico o privato convenzionato. L’obiettivo è quello di favorire la possibilità per i genitori – e in particolare per le madri – di inserirsi, reinserirsi o permanere nel mondo del lavoro dopo la gravidanza, assicurando la frequenza del bimbo all’asilo nido e favorire l’accesso dei nuclei familiari alla rete dei servizi socioeducativi a ciclo diurno e promuoverne la qualità dei servizi.
La Provincia di Trento ha stanziato, già dallo scorso anno, oltre 3 milioni e mezzo per ridurre il costo delle rette per l'accesso ai servizi educativi 0-3 anni. Secondo una stima dell'Agenzia provinciale per l'assistenza e la previdenza integrativa (Apapi) dovrebbero essere circa 3.000 le famiglie interessate.
Eppure nonostante queste politiche mirate al contenimento dei costi “Servizi in...Comune” lo studio di cittadinanzattiva (potete leggere per intero da qui). Ci racconta tutt’altra realtà. Una famiglia media, con un bimbo al nido e un altro alla scuola d’infanzia o primaria, spende € 380 al mese (301€ per la retta dell’asilo e 80€ circa per la mensa). Le tariffe restano sostanzialmente stabili a livello nazionale negli ultimi tre anni. Le differenze regionali e fra i singoli capoluoghi di provincia sono evidenti: per i nidi di Catanzaro o Agrigento si spende in media 100€ mensili mentre Lecco si riconferma la città più cara d’Italia con una retta di 515 € mensili. Per la mensa scolastica si va dai 38€ di Barletta ai 128€ di Livorno. Il Sud Italia ha costi contenuti è vero, ma solo il 3% delle rette comprendono tutto l’occorrente come i pasti, i pannolini e altro. La percentuale delle rette “paga tutto” sale al 25% per gli asili del Centro e al 40% in quelli del Nord. Il sud presenta anche pochi servizi: la copertura sulla potenziale utenza è solo del 7,6%, rispetto alla media nazionale del 20%.
Liste d’attesa e domande. Aumentano le liste di attesa dal 20% del 2013 al 26% del 2015, e questo nonostante il numero di domande presentate si sia ridotto complessivamente del 13,1% nel 70% degli 89 capoluoghi di provincia indagati. Nel Centro Italia i dati sono particolarmente negativi: le domande si sono ridotte del 20,9% ed è corrisposto un aumento delle liste di attesa dal 24% al 45%. Infine solo il 56% dei capoluoghi di provincia mette a disposizioni delle famiglie agevolazioni tariffarie: nel 62% dei casi si tratta della riduzione della retta a partire dal secondo figlio iscritto al nido, il 45% riguarda le assenze per malattia, il 19% riduce la retta per motivazioni economiche (disoccupazione, mobilità, cassa integrazione), il 15% per bimbi con disabilità e il 3% in presenza di mutuo per acquisto della prima casa. Nel 2016 su 30.000 donne (dati Ispettorato nazionale del Lavoro) che hanno dato le dimissioni dal posto di lavoro, ben una su cinque l’ha fatto per mancato accoglimento dei figli al nido pubblico, quasi una su quattro per incompatibilità fra lavoro e assistenza al bimbo, il 5% per i costi troppo elevati per l’assistenza al neonato